padovaxnoi.it
Rubriche

Curiosità padovane

Pillole di storia di Padova

Il re e le "donnine allegre" di via Agnusdei
"Nel'Ottocento la strada non godeva di buona fama, ospitandovisi giovani donne di dubbio mestiere e quando nell'estate 1866 il re Vittorio Emanuele II risiedette a Padova (si combatteva la guerra d'Indipendenza), e la mattina abitualmente si recava dal suo alloggio di palazzo Treves alla chiesetta di Santa Caterina, quasi in incognito, vestito alla cacciatora, seguito a distanza da un aiutante, esse scendevano per assistere festanti al suo passaggio. Il re, sempre attento alle grazie femminili, finchè non fu avvertito di cosa si trattava, si fermava a chiacchierare con loro, non risparmiando manifestazioni di reale amabilità, donando monete d'oro o argento con la sua effigie".

Le origini del Pedrocchi, salotto dei padovani
Nel luogo dove ora si trova il Caffè Pedrocchi, un tempo sorgeva la chiesetta della Confraternita di San Giobbe, demolita nel 1810. Nel corso degli scavi seguiti alla demolizione, fu trovata, nel 1824, una "medaglia d'oro assai antica, avente da un verso un tempio con alcune parole, dall'altro una figura di bestia raspante il terreno. Studiata e ristudiata non si riusciva a venirne a capo. Di quale epoca? Cosa significava?". Esperti numismatici riuscivano a dare solo pareri approssimativi. Finchè una lettera anonima svelò che bastava leggerne le parole al contrario: "Stolti archeologi". L'autore dello scherzo era il pittore Napoleone Gaetano Valeri. L'intuizione di dar vita al grande caffè (1831) venne ad Antonio Pedrocchi, modesto caffettiere, che sostenne una spesa non indifferente. "I maligni dicevano che, negli scavi, avesse rinvenuto un tesoro, oppure accennavano a una non fedelissima custodia di depositi e preziosi lasciatigli da ricchi veneziani durante il blocco del 1813-14: insomma "o una gran trovada o una gran robada". Ma erano gelosie di concorrenti".

Le campane del generale Cialdini
Non vanno trascurati, sulla destra, il palazzo Foscarini (1629), e a levante il palazzo appartenuto a Marco Mantova Benavides, poi D'Arenberg-Corinaldi. Quando nel 1866 giunsero le truppe italiane, vi si stabilì il Cialdini col quartiere generale. Disturbato dal suono delle campane di primo mattino, nell'aura anticlericale del momento, mandò l'aiutante di campo dal Parroco (degli Eremitani) con un'esplicita avvertenza: se l'indomani si fosse ripetuto il baccano, avrebbe ordinato ai cannoni di sparare sul campanile.